Win & Co. srl

14 marzo 2020

La peste del 1656 a Roma: rimedi e conseguenze


di: Alessandra Camerano, Win & Co. srl
Sezione: Strumenti di ricerca, saggi, links

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P. Fürst, Il medico della peste, 1656. Questi abiti proteggevano dal contagio: mantello cerato, occhiali e guanti protettivi, e un bastone per il contatto col malato. Nel becco si trovavano sostanze aromatiche.


“Decreti di emergenza” nella Roma dei Papi: ciò che si comprende e si impara è che solo la prevenzione può evitare altri disastri.

La peste colpisce Roma nel 1656-57; il batterio killer arriva con le pulci dei topi a bordo delle navi commerciali genovesi e napoletane. A Roma, tra il 23 e il 24 giugno, di notte, trovato a Trastevere il primo infetto, scatta un cordone sanitario immediato: il rione è prima isolato da cancelli di legno e guardie armate, poi da un alto muro costruito a tempo di record. Due istituzioni devono gestire il contagio, sono la Congregazione di Sanità e la Sacra consulta, composte di esperti e cardinali che si concentrano sulla repressione del popolo, più che sulla cura dei malati. Mantenere l’ordine sociale è la priorità, persino mentendo si nega la diffusione del male. Il Card. Barbarigo, responsabile sanitario di Trastevere scrive: “si muore più di stento e di paura che di peste”, ma il rione è isolato, i trasteverini condannati a morte certa.

I motivi del contagio sono ancora ignoti, ma è noto che la peste si propaga per il contatto diretto col malato o con suoi oggetti e abiti, veicoli del male. Tra disposizioni inutili e semi magiche (infuocare legni profumati o mangiare fichi), si bruciano materassi e vestiti, si usa aceto e calce per pulire stanze, e sono incerati gli abiti per i medici. In tempi rapidissimi le istituzioni pontificie sospendono ogni scambio commerciale con Napoli, Genova e Civitavecchia messa in quarantena, mentre alle porte di Roma ci sono soldati che registrano entrate/uscite.

La peste romana, in modo alterno, dura oltre un anno, con una mortalità fra il 7-8% del totale della popolazione, e punte del 63% nei lazzaretti. Da subito nasce l’esigenza di un governo forte, poteri nelle mani di un solo uomo e tre linee guida: spingere la popolazione a segnalare qualunque caso sospetto; separare i sani dagl’infetti, anche per il periodo successivo alla malattia e fino alla convalescenza; disinfettare persone e luoghi esposti al contagio con procedure previste anche per le merci in entrata.

In pochi giorni il sistema di controllo entra a regime: le pene sono severissime anche per i furti e le impiccagioni sono pubbliche e spettacolari mentre Roma è sotto assedio: il Tevere è sbarrato da una catena, due soli varchi, protetti da doppi cancelli, sono adibiti allo scambio merci e per lavorare i campi vicini serve un salvacondotto e un bollettino sanitario. Se poi il Tribunale Governatore scopre “mazzette” date ai guardiani delle porte le pene sono durissime.

Gli organi centrali emanano bandi su bandi, ogni giorno tramite i parroci si controlla il numero delle anime vive e di quelle passate a miglior vita e settimanalmente si aggiorna il numero dei contagiati e dei morti. Grazie alle nuove norme le case con gli appestati sono subito bonificate con procedura d’emergenza; il malato, isolato nella sua stanza e separato dagli altri, posti in quarantena, è portato al lazzaretto nel tempo più breve possibile, direttamente sul suo letto, scortato da monatti e birri che allontanano i passanti.

Le nuove leggi coordinano la nascita di un sistema di lazzaretti che si modifica nel corso dell’epidemia fino a prevedere spazi diversi fra malati, persone in quarantena e sopravvissuti destinati ad assistere gli altri. La normativa papale interviene poi nella vita quotidiana e vieta agli osti di ospitare più di quattro persone per tavolo, cani e gatti devono restare in casa, medici e cardinali devono usare carrozze “sigillate”, sono vietate processioni anche se invocate dal popolo e infine anche i funerali. I soldati alle porte non fanno entrare in città poveri e mendicanti, ed è vietato chiedere l’elemosina.

Le conseguenze di decisioni così drastiche portano oltre al calo demografico (900.000 morti negli Stati italiani), all’interruzione dei commerci interni, crollano le campagne e la produzione agricola, manca la manodopera, si chiudono banche, banchi di prestito e cambiavalute, mentre esplode l’usura e la malavita.  Ciò che si comprende e si impara è però per la prima volta che solo la prevenzione può evitare altri disastri, così il pontefice Alessandro VII a chi si lamenta dell’eccessiva crudeltà delle restrizioni ripete: “Ci vuole nelle materie odiose chi faccia volentieri lo sbirro”.

 

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